sabato 19 gennaio 2013

Radicali liberi

Mio padre era un profeta. Non gli sono mai piaciuti i Radicali. 
Diceva:si fingono progressisti per destabilizzare una sinistra provinciale, fanno scelte choc per dimostrare che sono in, mentre a sinistra la gente è popolino o intellettuali di prima generazione che sono fermi ai classici, prima o poi si mostreranno per ciò che sono, ma avranno già rovinato i principi della sinistra.
Erano gli Anni Settanta, la sinistra era ancora operaia, impiegatizia e puritana.
Mio padre era troppo intelligente per vivere.
 La sinistra fa proclami alla Pannella del tempo che fu ( nella persona di Vendola e non solo) e Pannella va con Storace, prima di morire torna alla casa madre.Colui che portò Cicciolina in Parlamento, sdoganando il porno, che fece far carriera politica ai suoi morosi, ma che poté contare su donne in gamba come Adele Faccio ed Emma Bonino ha chiuso il cerchio e a sinistra si farnetica di sinti, trans e clandestini.Roba che farebbe rivoltare nella tomba i muratori comunisti degli Anni Cinquanta.I Radicali al Paese fecero più male che bene. Aprirono a un mondo trasgressivo che capovolgeva la morale italiana, portando in tutte le case ciò che prima era di dominio delle classi elevate e capricciose.Il mondo apolide e senza regole ( o con regole sovvertite) degli artisti. Quelli ricchi.


L'immagine si commenta da sé.



giovedì 17 gennaio 2013

Creedence Clearwater Revival - Have you ever seen the rain?

Italiani esterofili

Ho letto La Stampa, mangiando al bar ( un panino, un bicchier di vino, la felicità), così non sporco in casa...e mi trovo in disaccordo con Gramellini da subito, che ha scoperto l'acqua calda, ovvero che la cultura classica italiana, i suoi Maestri e i suoi luoghi, sono apprezzati e sfruttati dal cinema e dalla letteratura all'estero, ma snobbati in Italia.
L'Italia è esterofila dal secondo dopoguerra. Una risposta al mito - fallito - dell'italianità creato dal fascismo, dai fasti di Roma novella caput mundi, crollata con lo sbarco dei Marines per porre fine al Ventennio che infiniti lutti le addusse. Da allora, tutto ciò che era straniero era buono. In particolare ciò che era americano, per altri per contro ciò che era sovietico. 
Poi, pian piano, si è esteso a tutto: tecnologia tedesca o giapponese, profumi e cucina francesi, vacanze esotiche, civiltà nordica, natura selvaggia africana, folklore ispanico o greco e via dicendo, come se tutto ciò che avessimo facesse schifo.
Quando dicevo di andare volentieri al mare a Nervi o a Camogli, c'era chi mi derideva, sbandierandomi davanti al naso un biglietto per Santo Domingo o le isole greche, così che trascorrevo vacanze serene in compagnia di severi Tedeschi e languidi Inglesi. Mai stata così bene.
Hanno bambini che giocano senza gridare, come facevo anch'io, del resto. La mia infanzia non gridava, poi, dagli anni Sessanta in poi ha iniziato a gesticolare, saltellare, urlare e sburattinare in modo teatrale. Chissà perché.Quando mio padre sosteneva che si va all'estero soltanto quando si conosce alla perfezione tutta l'Italia, al massimo io obiettavo che è più comodo raggiungere Parigi, Vienna o Monaco di Lecce o Palermo, perlomeno via terra, perché la mitteleuropa è una compatta realtà di cui, geograficamente,il nordItalia fa parte.



Paesaggio a Rio Maggiore 


 Ciò non toglie che la varietà italiana sia sorprendente.Affascinante. Stupenda. Per paesaggi, storia, arte.L'Italia è talmente varia da essere impareggiabile.

martedì 15 gennaio 2013

Quand'eravamo Cinesi.

Si fa un bel  dire che i Cinesi lavorano e basta e in condizioni pessime e mal pagati. E li si addita: comunisti che privano del'individualità! Capitalisti senza scrupoli! Un po' di confusione, soprattutto ignorando che il benessere in Italia è stato costruito nello stesso identico modo. Si può capire anche perché se ne sia andato. Prima di tutto si devono mettere in parallelo risorse e forza lavoro. Dove ce ne sono poche, la seconda dev'essere pronta e a basso costo.Poche balle, ce tocca.
Se ci fosse, mio padre oggi taglierebbe il traguardo dei 90 anni, ma non c'è più.
Vi dimostro che mio padre ( e non solo lui) era un Cinese.
Andò a lavorare, come molti alla sua età, a 12 anni, alla fine delle scuole elementari, anche se completò l'avviamento al lavoro alle serali.Faceva il garzone.Non gli piaceva il lavoro che era stato scelto in orfanotrofio per lui ( il padre era al confino ad Ustica, la madre con il figlio di primo letto a Milano), si diede da fare per cambiarlo e  poter fare ciò che piaceva a lui, l'elettrotecnico.Non senza difficoltà.Ci riuscì. Imparò il mestiere, si mise in proprio con una borsa di ferri e un'officina che era un bugigattolo, ma in un rione in cui lo conoscevano tutti.Si diplomò poi a 50 anni, ma ne sapeva quanto un ingegnere, tant'è che alla Magneti Marelli di Milano, dove lavorò un po' da pendolare,era tenuto in considerazione come tale. Era intelligente, volenteroso, eclettico, insofferente alla disciplina,adatto soltanto al lavoro autonomo.
La prima officina era in un cortile.
La seconda anche.La prima una sorta di capanno per gli attrezzi, la seconda un garage.
La terza  un retrobottega.
Ci lavoravano lui, un paio d'operai, due garzoni, una segretaria/commessa nel negozio di materiale elettrico, un rappresentante dei "prodotti fatti a mano" che vi si producevano. Motori, all'inizio. Fatti e verniciati a mano. Il carcinoide ai polmoni fu frutto più della vernice respirata che delle sigarette fumate pur numerose per sopportare una vita durissima.Una media di 12 ore di lavoro. Qualche levataccia, quando i macchinari alla Prodotti Tartarici si fermavano, allora lo cercavano anche in piena notte, gridando in mezzo alla strada, non c'era citofono e il piano alto non permetteva di tirare sassi contro alle persiane.
Lavorano con scarsa sicurezza.
Un collega di mio padre rimase secco, fulminato, aveva un'officina come la sua, cento metri più in là. Verso la metà degli Anni Sessanta, mia madre fu reclutata come commessa, non sapeva nulla di materiale elettrico, aveva fatto la sarta da uomo 22 anni e la casalinga otto.
Pagava poco e male, ma sempre e i padri arrivavano con i figli quattordicenni per mano: La prego,Aldo, gli insegni un mestiere o mi va per strada.Gli davano del tu soltanto se molto in confidenza.
Erano tutti Cinesi: mio padre, mia madre, i dipendenti.Per un po' di tempo fu a libro paga anche mio nonno paterno, registrato come fattorino, per fargli raggiungere la pensione.Mi fece commuovere, questo particolare,quando lo scoprii.Al giorno d'oggi dai genitori si pretende e basta.
Si viveva in affitto anche noi. Fino ai miei 14 anni,era il 1969, in due stanze, anche da padroni.
Nessuna spesa era superflua, anche se andavamo in vacanza, beati noi.Fino all'inizio degli Anni Settanta.
Poi qualcosa cambiò.
Il Paese cominciò a vantarsi di una ricchezza che non c'era.
I dipendenti pretendevano paghe alte e contributi ancor più elevati,anche se di microaziende.
Le fabbriche esigevano tangenti per poter lavorare, oltre al materiale e pagavano quando volevano.E qualcuno fuggiva con la cassa o chiudeva baracca e burattini, trascinando tutti nel baratro.
L'ambizione cresceva e bisognava avere la casa, l'automobile sempre nuova e ogni genere di lusso. La vacanza doveva essere costosa, prestigiosa.Tutti i figli dovevano avere un diploma prima, una laurea poi e ognuno un lavoro ben remunerato e di rango.
 Non si poteva che deflagrare.
In alcuni decenni, noi Italiani, ci siamo mangiati tutto quello che avevamo messo da parte da Cinesi.
Quando mio padre morì, un suo exdipendente lo chiamò Maestro, di bottega e di vita.
Ma resta un Maestro Cinese.





Piccola guida per l'elettore

Piccola guida per l'elettore. Chi ha mire di comando - da sempre - ha un solo principio: IO SO' IO E VOI NUN SIETE UN CAZZO. Tra questi, qualcuno dice la verità, è MOLTO in gamba, sa che fare per sé e per gli altri,è bravo,preparato,coscienzioso, capace.Molti sono soltanto ambiziosi, vivacchieranno di retorica alle vostre spalle. Mai credere a espressioni come "il popolo è maturo" ( nessuno lo pensa, mai) e "mi metto al servizio" ( non esiste, cozza con la vanità di chi vuole arrivare ai vertici). Auguratevi soltanto che sia uno a cui lavorare piace e che sia sensibile alle difficoltà altrui.I Santi sono sul calendario, gli stronzi non sono tutti nelle latrine.


domenica 13 gennaio 2013

Pasquini & Pisquani

Facebook e Twitter ci hanno trasformati tutti in Pasquini. 
Qui sfoghiamo rancori e invidie contro potenti e famosi e sempre qui i servi di partito seminano le loro puttanatine propagandiste a buon mercato. 
Pasquini & Pisquani.
La rete ha fatto a pezzi l'informazione, l'ha resa popolare e,come ogni cosa nazionalpopolare, stupida.Già c'era la tv, ma perlomeno non era interattiva. I commenti idioti non uscivano dalle cucine e dalle sale da pranzo.Il mediocre lavoro degli inviati dava la giusta sensazione di non esser fuori dal mondo.Bastava e avanzava, chi voleva invece essere catechizzato, comperava un giornale cartaceo di partito o ligio all'ubbidienza a un ricco mecenate.
Ora tutti sanno tutto di niente, ma lo fanno circolare prestissimo e poi rimbalza talmente bene che lo senti in bocca anche a chi non ha neppure il pc. Non c'è strumento che il volgo non renda volgare, non c'è niente da fare.C'è da perlustrare il campo togliendo la gramigna, filo a filo.Un po' come la vita, va ripulita costantemente di ogni bruttura ti venga dal prossimo.




sabato 12 gennaio 2013

Essere guardate così...

...è superiore a qualsiasi riconoscimento. C'è stima, in quegli occhi. Non fu passione, fu molto di più.


Commiato di Arbore alla Melato.

IL PRIVILEGIO DI AVERLA ACCANTO di Renzo Arbore 



Sono stato innamorato di una grande artista e di una grande donna. E sono stato fortunato, per aver conosciuto una persona eccezionale che mi ha fatto diventare prima uomo e poi artista, una fortuna, lo dico con il cuore a pezzi, che ora pago con il grande dolore che provo.

Per lei, che era un dono della vita, ho sentito un amore ininterrotto. Io che ho sempre desiderato diventare un artista, stavo con una artista vera, un privilegio unico averla accanto, vedere che le sue scelte erano sempre fatte per migliorarsi; non era artista per ambizione personale o smania di ricchezza, lei viveva l'arte come una missione e per questa ha affrontato grandissime rinunce improntate all'etica, alla bellezza, alla cultura. Era figlia di un timidissimo vigile urbano che ho conosciuto e lei era riuscita con enorme fatica e rinunciando alle cose futili a coltivarsi. Amava i libri, fino all'ultimo li ha voluti con sé, ai complimenti vacui preferiva quelli del suo pubblico fatto di persone modeste e intellettuali schivi. Andava orgogliosissima, tra i tanti premi, dall'aver ricevuto due volte il Duse, stravolgendo così il regolamento che non consentiva doppioni. Questi ultimi tre anni, sono stati terribili per lei e anche per me. Nonostante ciò, malata, sottoposta a cure faticosissime affrontate con enorme coraggio, viveva per tornare sulla scena e ha ancora portato al successo tre lavori straordinari: Casa di bambola, Il dolore, un meraviglioso monologo e Filumena Marturano per la televisione. Era una donna vera, con una nobiltà d'animo fortissima. I suoi sentimenti erano puri, s'interessava di piccoli artisti, saltimbanchi, gente semplice, era lontana dalla meschinità, dalle menzogne, dalla cattiveria, dal cattivo gusto. Lei mi ha insegnato la sua cultura straordinaria e io le ho fatto amare la cultura del Sud. Come i grandi aveva un fortissimo senso dell'umorismo e della musica. Aveva lo swing, una grazia interiore; ballava come nessuna, si aggiornava in maniera che mi lasciava stupefatto, aveva una passione per la sceneggiata, come per Ronconi e Medea, era multiforme. Tutto senza mai un accenno al botteghino, non abbiamo mai parlato di soldi noi due. Oggi la ricorderà Emma Bonino: non si conoscevano bene ma Mariangela l'amava perché riconosceva in lei il suo stesso rigore. Sempre con un sorriso. Quello con cui ci ha lasciato.



40 anni d'amore.

L'amore esiste, allora.




giovedì 10 gennaio 2013

Panorami

Arriva il giorno in cui t'accorgi che, stando alla stessa finestra, non si vede più lo stesso panorama.
Si comincia senza neppure vederlo, la finestra è chiusa.Ci si guarda con attenzione. Un'attenzione avvolta in un comprensibile oblio del mondo.
Poi uno dei due guarda fuori, l'altro si adegua.
A volte si vede lo stesso albero, la stessa strada e si commenta e la vita si fa fitta e a fianco, ma giunge infine il giorno in cui, volto allo stesso orizzonte, si scorgono due panorami diversi.
Uno ha visto le  stelle, l'altro nuvole nere. 
Uno il mare, l'altro la montagna.
E piano piano il contorno della figura si dissolve nella nebbia.
E resta il panorama, l'altro non c'è più.



martedì 8 gennaio 2013

Votantonio.

Posso anche comunicarlo. Mi è stato proposto di entrare in lista per le politiche per il collegio di Alessandria. La proposta mi ha lusingata, perché una volta tanto era rivolta a una persona normale, che ha dalla sua soltanto la sua intelligenza e l'aver lavorato 36 anni, contro ben altri sistemi di reclutamento, altrove... 
Chi viene candidato alle politiche perché pollo d'allevamento di partito, chi perché "è parente di...", chi è carrierista in un modo o nell'altro, chi è l'amante di qualcuno o la moglie di qualcun altro. La politica abbonda di buoni a nulla, capaci di tutto. 
Io sono capace di qualcosa, ma non aspiro a nulla. Ho un'ambizione modesta, commisurata alla tipologia delle mie abilità. Mi piace la scrittura. In testa ho forse soltanto leggere, scrivere e il senso del bello. 
Auguro a chi mi ha scelto il successo che merita, significa che la buona politica esiste, la politica che ha fiducia nella gente semplice come me. Aggiungo che la politica mi piace, è stata una delle passioni della mia vita e non dovendo nulla a nessuno, né il posto di lavoro né altro.Attività e puro pensiero. 
Mi sento più adatta alla formulazione di programmi, all'Ufficio stampa, ad affiancare più che a procedere in prima persona.In ogni caso,grazie. Ora non avrà più senso lamentarsi, perché la proposta di fare politica ad alto livello in prima persona era arrivata.E non è la prima volta che in politica mi si dà fiducia,anche in passato, spazio per me c'è stato, ma è anche vero che sono una donna che preferisce le quinte alla ribalta.
Troppo femminile e sentimentale nonostante una parvenza un po' algida.


giovedì 3 gennaio 2013

Mirò ? Ma no!

Per colorare un po' le feste di Natale, ho scelto Mirò, perché la festa non fosse soltanto colesterolo e delusioni impacchettate. Spesso il Natale è il Sabato del villaggio, si esaurisce nei lustrini, eppure lo si prepara con fervore.Quest'anno l'ho ospitato con allegria, perché penso da pessimista, ma vivo da ottimista, alla fin fine, persino da temeraria, nel coltivare ciuffi d'ananas di speranza, pensando che ne crescano palme da dattero...sfumato però lo spirito natalizio e terminata la mostarda,ho pensato che un po' di colore potesse starci bene. Scegliendo l'arte. Il colore che mi s'addice è paesaggio o arte visiva,se non è quello più prosaico d'un vestito o un accessorio. Non amo grida né canti.Non seguo il ballo né il carosello di genti. Credo che la vita sia più elegante se dentro un salottino, in cui in fondo si possa star bene in due. Il resto è sfondo e corollario. Se non c'è il due, preferisco l'uno ai molti. Il Pari, il Dispari. Il resto è in esubero. Dunque prendo il mio dispari e lo porto in treno, ché è il mezzo che amo per eccellenza, in una giornata soleggiata. Il paesaggio tuttavia è brullo, risente della sofferenza del suo inverno ben insediato sul suo trono di spine. Mi siedo accanto a un bassotto, piccolo, Tristano. Il miglior compagno di viaggio, la fiducia serena dei cucciolotti tutto sonno. Nulla di più adorabile.
Scendo a Genova, scelgo Via San Vincenzo, percorso parallelo a Via XX Settembre e forse più...ligure.


Arrivo in ogni caso in Piazza De Ferrari, la bella Piazza De Ferrari, dove un albero di Natale mi conferma la data. Lo scorso  anno ero qui, il 2 gennaio, ma era circa mille anni fa.Forse Piazza Corvetto l'ha inghiottita il vuoto.
Passin passetto, faccio "Mente locale" ( sito e luogo reale) e consumo un minipasto di caffè e brioche, in giro sono parca, dopo aver fatto il biglietto.
Ho un'audioguida favolosa. E' anche videoguida. Offre approfondimenti, ragguagli, informazioni ausiliarie e aggiuntive. Eccellente supporto.Non c'è che da salire pazientemente lo scalone ed arrivare da un atrio che annuncia l'evento ai fasti veri e propri di Palazzo Ducale, è un giorno feriale, c'è persino poca gente...




Salendo, un omaggio a Tabucchi...




Tant'è che sorrido.


Giro e m'aggiro tra le sale. Alcune opere sono decisamente famose. Grandi. 
Altre sono fotografie che mostrano dove le opere sono collocate: alberghi, ristoranti, palazzi noti e altri luoghi pubblici e privati, in spazi di grandi dimensioni. 
Nelle sale c'è anche la ricostruzione dello studio di Mirò.

Un filmato mette a contatto il visitatore con  l'autore, sembra di poter colloquiare. Mostra organizzata in modo magistrale, ma che dire di quell'anziano che gioca a impiastricciarsi le mani di colore  per dar luogo a soggetti che alla fin fine sono donne o uccelli? Linee essenziali, ideogrammi. Scaglie di Giappone e/o di emozione primitiva. L'autore afferma di vivere nella pittura la sua terra, Maiorca, e anche di voler assassinare la pittura. Be', c'è riuscito. Il suo segno non è un disegno, il suo colore è spremuto dai tubetti. Primari: giallo, rosso, blu. Nero, tanto nero. L'eleganza del segno è sopraffina. La comunicazione a livello empatico si stabilisce, ma resta il fatto che quella non è pittura. E' la bella grafica di un decoratore d'interni. Non sento pathos, non vedo tecnica del disegno e del colore ma il suo ribelle rifiuto, forse dettato da incapacità di aderire alle regole imposte dall'apprendimento di una tecnica stessa.Non è pittura ma è arte, non c'è dubbio, dove c'è emozione c'è comunicazione artistica e Mirò va sul sicuro, suscita reazioni epidermiche e profonde.Il gioco che riuscì a Mirò l'hanno poi ripetuto in tanti, inclusi coloro i quali si credono moderni, cercando di imitare ciò che lui fece quasi un secolo fa.

Non ho riscontrato tuttavia alcun elemento poetico, non ho toccato con mano la sofferenza creativa di chi ha tolto dal pennello, ricreandola, la realtà. 
Se per Renoir ho provato ammirazione per l'abilità pittorica, pur senza sentire dentro me suonare le corde della malinconia che spiega e si spiega...davanti a Mirò mi sono sentita come una cliente che apprezza l'arredamento di un Caffè.
Non sono in cerca di sensazioni. Mirò non amoreggia con la natura né l'odia.Non vezzeggia la tecnica, la riduce a puro segno e accostamenti forti.


Uscendo, m'infilo in Via Galata e qui mi perdo in una Genova dalle vetrine scintillanti e compro il dolce per il mio paradigmatico Capodanno simile  esattamente a un Mirò, senza alcuna poesia.
Strada facendo fotografo persino una tripperia. Un angolo di passato che in provincia non c'è più.La provincia sopravvive ad angolo acuto soltanto nelle grandi città dove più ci si espande, più si rivendica il diritto di agonizzare lentamente.
E ho un bel dire che Genova non è abbastanza pulita... ed è poco moderna. Io a Genova, nel centro, sto bene come un topo nel formaggio.Di Genova ho foto bellissime, mie e non solo.Foto di quando pensi che la vita sia una luna di miele basta volerlo, di un amore decappottabile, che necessita di due, non più di due. 
Ma la folla inghiotte, questo è un mondo che non ama né Dispari né Pari. 
Ama la tribù.
E nella tribù non c'è posto per me.
Da quando ho visto Van Gogh temo di non riuscire più ad amare alcun pittore, ma la realtà gli è rimbalzata dentro fino ad ucciderlo. Forse ha fatto bene Mirò a diventare un decoratore di lusso per architetti bizzarri di clienti danarosi.
Resta il fatto che non l'amavo prima di partire, ma ho voluto provare, e non l'amo neppure ora.
L'ho presto smaltito sulle scale mobili di Coin.